La prima stima preliminare rilasciata dall’Istat sul terzo trimestre 2025 certifica una fase di stagnazione per l’economia italiana. Il Pil resta invariato rispetto al trimestre precedente, con una crescita tendenziale che si assesta appena allo 0,4% su base annua: una fotografia di un sistema produttivo che non arretra, ma neppure avanza. Questa staticità, tuttavia, nasconde dinamiche opposte tra i diversi comparti: mentre la domanda interna – consumi e investimenti – frena la ripresa, l’economia viene trainata quasi esclusivamente dalle esportazioni nette, che rappresentano l’unico vero motore in questo momento storico. Si tratta di un contesto delicato, in cui la debolezza dei consumi e la contrazione dell’industria lasciano spazio solo al contributo positivo del saldo estero, sullo sfondo di un’incertezza internazionale crescente e di una fiducia interna sempre più fragile.
Analisi strutturale del Pil nel terzo trimestre 2025
I dati del terzo trimestre evidenziano un sistema in stasi: dopo una lieve contrazione tra aprile e giugno, la crescita è rimasta a zero nei tre mesi successivi, contro le attese di un timido +0,1%. Il quadro tendenziale mostra una crescita annua limitata allo 0,4%, in netto rallentamento rispetto agli anni precedenti. Dal 2023 a oggi si osserva infatti una progressiva perdita di slancio: dal +2,2% del primo trimestre 2023 al +0,4% attuale, con la crescita acquisita per l’intero 2025 che difficilmente supererà lo 0,5%.
Dal lato della domanda aggregata, la domanda interna (consumi delle famiglie e investimenti delle imprese, al lordo delle scorte) ha rappresentato un fattore frenante, a conferma di una difficoltà strutturale a stimolare la ripresa dall’interno. Le esportazioni nette, invece, hanno contribuito positivamente, grazie soprattutto a una bilancia commerciale favorevole. Dal lato dell’offerta, si registra un aumento del valore aggiunto agricolo e una sostanziale stabilità dei servizi, mentre l’industria ha continuato a contrarsi. Questa situazione riflette una stagnazione conclamata, che si accompagna a un clima di incertezza diffusa, sia per le aziende sia per le famiglie.
Contributo delle esportazioni e debolezza della domanda interna
Nella fase attuale, l’export rappresenta la principale, se non unica, leva di crescita per l’Italia. Pur in un contesto internazionale reso instabile dall’aumento dei dazi commerciali e dall’incertezza geopolitica, le vendite all’estero hanno permesso al Pil di evitare una contrazione più marcata e di mantenere una flebile crescita tendenziale. Tuttavia, questo modello di crescita è per sua natura fragile: il traino estero non basta a compensare la stagnazione dei consumi interni e la debolezza degli investimenti, a loro volta legati a un clima di scarsa fiducia, alla riduzione del risparmio delle famiglie e alla persistente incertezza sul fronte della politica economica.
Il settore manifatturiero, che tradizionalmente ha contribuito alla crescita italiana, sta attraversando una fase di forte difficoltà, con una contrazione che si è fatta persistente nell’ultimo anno. L’industria fatica a reagire anche a causa della scarsa propensione degli investimenti privati: senza una spinta decisa dalla domanda interna, le imprese rinviano decisioni strategiche e rallentano gli effetti moltiplicativi sull’occupazione e sui redditi. In questo contesto, la bilancia commerciale positiva è più che mai una condizione necessaria, ma non sufficiente, per garantire una ripresa sostenuta.
Politiche economiche e strumenti per uscire dalla stagnazione
Le misure di politica economica in discussione nella sessione di bilancio parlamentare prevedono interventi su affitti brevi, dividendi bancari, pensioni e un contributo straordinario del settore bancario. Tuttavia, come sottolineato dal governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, il comparto creditizio resta solido e ben capitalizzato, e il contributo richiesto dal governo non mette in pericolo la stabilità finanziaria. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha ribadito la volontà di mantenere un equilibrio tra rigore e sostegno ai consumi, ma il dibattito politico evidenzia la difficoltà nel trovare una strategia coerente per rilanciare il sistema nel medio termine.
Al di là delle misure di breve periodo, la sfida strutturale è soprattutto quella di attivare gli investimenti pubblici, potenziando programmi come il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e altri incentivi per la transizione ecologica e la modernizzazione dell’apparato produttivo. Secondo Confindustria, senza un progresso deciso nell’attuazione di questi strumenti, la stagnazione rischia di protrarsi nel tempo: la crescita non è data, “la si deve costruire”. L’Italia, dunque, si trova oggi a scegliere se limitarsi a gestire la stagnazione o intraprendere il percorso più difficile, ma necessario, di “trasformare il fermo in ripartenza”.
Scenario europeo e confronti internazionali
La situazione italiana si colloca in un quadro europeo in cui le differenze tra Paesi si sono accentuate. Mentre la Francia ha registrato una crescita trimestrale dello 0,5%, sia l’Italia che la Germania sono bloccate in un andamento stagnante. Nel confronto europeo, l’Italia paga il prezzo di una base industriale più debole, di una domanda interna meno reattiva e di una maggiore esposizione agli shock energetici e commerciali. Inoltre, la crescita cumulata dal 2023 a oggi si è fermata a circa l’1%, contro dinamiche più vivaci registrate in altri Paesi del continente. Questa divergenza rischia di accentuarsi se non verranno attuate riforme strutturali e investimenti in innovazione, infrastrutture e capitale umano.
Dal punto di vista dei conti pubblici, la lotta per il rientro dal deficit rimane una priorità, con l’obiettivo di avvicinare il rapporto deficit/Pil al 3% nel 2025, rispetto al 3,4% del 2024. Tuttavia, la pressione sulle uscite legate agli ammortizzatori sociali e agli incentivi alle imprese rende difficile mantenere il giusto equilibrio tra sostegno all’economia e disciplina di bilancio. Senza una ripresa decisa, il rischio è quello di una stagnazione prolungata, che non risolve il problema del debito pubblico e limita le prospettive di crescita per il futuro.
Conclusioni e prospettive per i prossimi trimestri
L’Italia si trova dunque di fronte a una stagnazione che non è ancora recessione, ma che rappresenta un bivio per la politica economica del Paese. La crescita del Pil nel 2025 si fermerà probabilmente allo 0,5%, confermando la difficoltà a invertire una tendenza consolidata negli ultimi anni. Le variabili chiave per il futuro sono la capacità di catalizzare gli investimenti, sia pubblici sia privati, e di attuare riforme strutturali che rendano il sistema più competitivo e resiliente. Il contributo della domanda estera è fondamentale, ma il vero salto di qualità può avvenire solo con un rilancio della domanda interna, della fiducia e degli investimenti nelle imprese italiane.
Il Pil non è solo un numero, ma il riflesso delle scelte politiche, economiche e sociali di un Paese. Oggi, più che mai, l’Italia ha bisogno di una visione chiara e di politiche coerenti, capaci di tradursi in azioni concrete e misurabili. In assenza di questo cambio di passo, lo 0,5% di crescita annuo rischia di diventare un limite strutturale, anziché un punto di partenza per una nuova fase di sviluppo. La vera sfida, dunque, non è solo quella di mantenere in equilibrio i conti, ma di costruire le condizioni per una crescita sostenuta, inclusiva e di qualità.








